LE PROPOSTE SUL MEF
L’obiettivo dichiarato è di “modernizzare” antidumping e antisovvenzioni (in seguito “AD” e
“AS”) per metterli al passo con la globalizzazione, ma l’evoluzione del dossier sembra
volgere a risultati differenti. La materia è stata oggetto di un pacchetto di proposte
presentato dalla Commissione europea nel 2013. L’iter ha concluso la fase di prima lettura
del Parlamento europeo nel 2014 con sensibili miglioramenti rispetto alla proposta
originaria della Commissione Ue, che era decisamente improntata ad un de-
potenziamento degli strumenti di difesa commerciale in ossequio alle richieste dei paesi
nordici ed a scapito dei paesi produttori manifatturieri.  

Nello stesso anno il dossier è passato all’esame del Consiglio (Presidenza italiana -
secondo semestre 2014), ma la spaccatura tra Stati membri, in particolare sulla
disapplicazione o meno della regola del dazio più basso (Lesser Duty Rule - LDR) non ha
consentito di raggiungere una posizione comune avviando una lunga fase di stallo durata
oltre due anni.  

Il dossier è stato riattivato nei primi mesi del 2016 con la presidenza di turno olandese in
concomitanza con il dibattito sulla concessione dello status di economia di mercato alla
Cina (MES-Cina). Come più volte richiamato da Confindustria, i due dossier hanno finalità
diverse, ma convergono nella modifica del medesimo Regolamento.  

Questa circostanza ha dato luogo, fin dall’inizio, ad una contaminazione negativa, poiché
interpreta le modifiche della modernizzazione dei TDI come la contropartita della proposta
della Commissione sul MES-Cina. Tale approccio è capzioso poiché la TDI-M tratta
dell’intero dispositivo AD-AS, mentre il MES-Cina riguarda esclusivamente la metodologia
di calcolo del dumping nel caso di importazioni provenienti da Paesi che – allo stato
attuale – lo stesso Regolamento antidumping definisce ad “economia non di mercato”.  

La TDI-M origina da una proposta interna alla Ue risalente a tre anni fa, mentre quella sul
MES-Cina giunge a seguito delle disposizioni della Sezione 15 del Protocollo di accesso
della Cina al WTO del 2001. Pur consapevoli del punto di caduta comune (Regolamento di
base AS e AD), la linea di Confindustria è sempre stata di mantenere separati i due
dossier per evitare che i contenuti dell’uno divenissero merce di scambio per l’altro.  

A quanto ci è dato di conoscere, questo è esattamente quanto si sta avverando in questi
giorni e la ricerca di un tale equilibrio minaccia seriamente i legittimi interessi dei produttori
industriali italiani ed europei.  


I numerosi   appelli del Consiglio europeo (marzo - giugno - ottobre 2016) in favore di un
intervento rapido hanno spinto gli SM ad accelerare il processo alla ricerca di un accordo.
L’ipotesi di compromesso su cui è ora focalizzata l’attenzione del Consiglio è quella della
Presidenza slovacca di turno. Il testo a nostra conoscenza (“Summary of the Presidency
compromise proposal”) è stato fatto circolare in vista della discussione al CAE commercio
dell’11 novembre scorso, ma anche in questa occasione gli stati membri non hanno
raggiunto un accordo politico. Il dossier, tuttavia, continuerà ad essere analizzato a livello
tecnico dai Gruppi di lavoro e in Coreper nell’ottica di giungere ad un testo con cui poter
aprire il trilogo con il PE entro la fine dell’anno.  

I contenuti della proposta di compromesso della Presidenza slovacca. Sulla
questione più controversa della Lesser Duty Rule, il compromesso slovacco restringe la
sua disapplicazione ad alcune circostanze ben definite, indicando alcune opzioni:  

a) riguardo al margine di profitto, conferma le proposte avanzate dalla
Commissione1, ossia di stabilire il target profit facendo riferimento a vari fattori quali
il livello di profittabilità precedente all’incremento dell’import dal paese terzo in
esame; il livello di profittabilità necessario a coprire costi totali e investimenti, le
spese in R&S e innovazione, il livello di profitto che l’industria UE potrebbe
raggiungere in normali condizioni di mercato. Viene fissata una soglia del 5%2;  

b) la nozione di “distorsioni delle materie prime ed energetiche” viene limitata a tre
fattispecie (tasse all’export, dazi all’export e schemi di “dual pricing” dell’energia) a
condizione che esse comportino prezzi significativamente più bassi delle materia
prima nel paese di esportazione rispetto ai prezzi nell’UE;

c) l’eventuale disapplicazione della LDR potrebbe condurre ad un meccanismo di
review nei primi due anni dall’imposizione dei dazi per verificare che le condizioni
ricorrano ancora e per valutare la necessità di ridurre il livello delle misure.

Nel compromesso slovacco si conferma anche la non-applicazione della LDR nei
procedimenti anti-sovvenzione (“Strengthen the use of the anti-subsidy instrument”),
come già proposto dalla Commissione europea.
Il testo di compromesso slovacco ripropone, inoltre, molti aspetti della proposta originaria
della Commissione del 2013 che il Parlamento europeo, assai opportunamente, aveva
rimosso in prima lettura perché suscettibili di avere impatto negativo sull’industria
comunitaria (ad esempio la pre-disclosure, la shipping clause, il rimborso dei dazi in caso
di esito negativo della expiry review). In particolare esso conferma quanto proposto dalla
Commissione con riguardo a:  

- Trasparenza e prevedibilità. Si prevede un meccanismo di informazione preventiva alle
parti interessate circa l’imposizione o meno delle misure provvisorie (c.d. pre-disclosure)
e una clausola di esonero dal pagamento dei dazi per un breve periodo (“short period of
time”) dall’invio della “pre-disclosure” (c.d. shipping clause);

- Protezione da ritorsioni. Possibilità di avvio indagini ex-officio in circostanze specifiche
in cui si rilevi un rischio di ritorsione (threat of retaliation). Tuttavia, contrariamente a
quanto proposto dalla Commissione, si prevede che per gli importatori UE l’obbligo di
cooperare sia sostituito da una semplice “richiesta di cooperare” ;

- Ottimizzazione delle procedure di riesame. Rimborso dei dazi versati nel caso di
riesami alla scadenza (expiry reviews) che si concludono con esito negativo senza rinnovo
della misura;

- Enforcement. Limitatamente alle inchieste anti-elusione si conferma la registrazione ai
fini dell’applicazione retroattiva del dazio e la possibilità per l’operatore che dimostri
l’assenza di coinvolgimento di ottenere l’esenzione dall’inchiesta anti-elusione;  

- Codifica delle prassi all’interno del Regolamento con riguardo alla definizione di “industria
comunitaria”, termination immediata in caso di margine di dumping de minimis,
campionamento, interesse comunitario.  

Inoltre, il compromesso slovacco prevede l’introduzione di alcune disposizioni nel Reg.
di base relative a:

- PMI. Si prevede un “SME helpdesk” che dovrebbe facilitare le PMI nei processi
informativi sulla materia e coadiuvarle nella partecipazione alle procedure di indagine;

- Riduzione delle tempistiche di indagine, come da tabella:  

Fase provvisoria Validità delle misure
provvisorie
Fase definitiva
AD non prima di 60 gg e non oltre 7 (8)
mesi a decorrere dall’avvio del
procedimento  
6 mesi 1 anno e non oltre a 13
(14) mesi
AS non prima di 60 gg e non oltre 7 (8)
mesi a decorrere dall’avvio del
procedimento
4 mesi 11 (12) mesi

Prime osservazioni. Le seguenti osservazioni sono svolte sulla base del “summary” ed
andranno integrate con l’analisi dell’articolato. Esse si concentrano sulle disposizioni che
riguardano la LDR, in quanto elemento maggiormente dinamico nell’evoluzione del dossier
e, sulla base del compromesso italiano, chiave di volta per il raggiungimento del
necessario consenso. Per la grandissima maggioranza degli altri elementi della proposta,
valgono, in questa fase, le considerazioni svolte nel 2013 in occasione della sua
presentazione e del suo primo esame al Parlamento europeo, che vengono allegate a
questa nota per comodità.  

In generale, la proposta di compromesso slovacca appare fortemente negativa. Si avvera,
di fatto, un passo indietro che riporta il testo alla situazione antecedente alla prima lettura
del Parlamento europeo (che aveva rappresentato un ottimo risultato) ed alle ipotesi di
compromesso poste sul tavolo dalla Presidenza italiana. In pratica, accanto ad alcune
proposte meritevoli - ma non decisive quanto quelle a cui siamo avversi - vengono
ripristinate parti della proposta che l’industria riteneva ormai definitivamente superate. E
questo, al fine di rendere praticabile la contaminazione negativa di cui sopra. Pertanto, la
contrarietà dell’industria italiana è doppiamente motivata.  

Nel merito della nuova proposta sulla LDR, a titolo illustrativo, va sottolineato che:  

a. la definizione di raw material distortions è assai restrittiva, limitando rigidamente la
rimozione alle tre fattispecie indicate (tasse all’export, dazi all’export e dual pricing
nell’energia);  
b. la previsione di un limite del 20%   che le materie prime devono rappresentare nel costo
di produzione del prodotto irrigidisce la normativa in maniera irragionevole;

c. la prospettiva che l’eventuale disapplicazione della LDR (che avverrebbe solo in casi
estremamente circoscritti) debba condurre necessariamente ad una interim review nei
primi due anni dall’imposizione dei dazi per ridurne il livello, rappresenta un ulteriore
elemento di debolezza di una disposizione già di per sé flebile.  

La LDR è un “WTO+” e nel disciplinare il suo utilizzo il Regolamento di base utilizza il
condizionale (“should”) e non l’indicativo futuro (“shall”). Vale a dire che esistono già oggi
ampi margini per la sua disapplicazione da parte della Commissione, il che – considerato
che la LDR è un’invenzione europea, vista la congiuntura e l’orientamento dei major player
globali in materia di difesa commerciale (US in primis) – depone nettamente a favore della
nostra richiesta di sempre: la disapplicazione tout court della LDR. Confindustria è
consapevole della spaccatura tra Stati membri su questo specifico aspetto e del fatto che
la sua risoluzione consentirebbe al processo decisionale di avanzare. Tuttavia, non si
ritiene che una tale legittima e fondata richiesta di level playing field vada disattesa e
ridotta entro limiti cosi angusti. A maggior ragione se nell’altro piatto della bilancia c’è una
proposta di modifica della metodologia per il calcolo del dumping cosi generosa da
configurarsi come una concessione de facto dello status MES alla Cina.  

Più nel dettaglio, la fattibilità stessa di questo approccio appare aleatoria. Il test economico
deve dimostrare che il prezzo delle materie prime e dell’energia nel paese di esportazione
è “significativamente” inferiore a quello UE. Non è chiaro come verrà interpretato il
termine, ossia quali sono i parametri per quantificare il divario di prezzo, cosi come non è
chiaro a chi spetti l'onere della prova. Infine, l’industria deve dimostrare a livello individuale
(anziché cumulativo) che ciascuna materia prima, o fonte energetica, raggiunge la soglia-
limite del 20% del costo di produzione, rischiando cosi di escludere alcune materie prime
assai critiche.  

Come già detto, altri elementi di preoccupazione riguardano la reintroduzione delle
disposizioni sulla shipping clause e sulla predisclosure, contro cui ci eravamo già espressi
perché favorirebbero tanto noto quanto indesiderato fenomeno dello “stockpiling”. Infine le
proposte sulle PMI non sembrano adeguate limitandosi ad una generica ed indistinta
assistenza attraverso l’helpdesk, laddove se vi fosse la reale volontà di favorire l’accesso
delle PMI a questi strumenti, si potrebbe fare ricorso al compromesso italiano del 2014
che proponeva soluzioni ben più articolate ed efficaci.



18/11/2016

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Paolo Ruini
paoloruini@canaledisecchia.it