SOLANO BENITEZ: LA GRANDE LEZIONE
SASSUOLO - Muri alti sette metri e spessi appena qualche centimetro? Uno studio di 100 metri quadrati costruito con un budget di appena 5mila dollari? Un muro ispirato al tessuto di un sipario? “Impossibile” non è una parola presente nel vocabolario dell'architetto e docente paraguaiano.
Solano Benítez, che recentemente è stato premiato con il Leone d'oro alla Biennale di Venezia di Alejandro Aravena come miglior partecipante alla 15esima Mostra “Reporting From The Front”, con il suo Gabinete di Arquitectura. Benìtez a Cersaie 2016 ha attraversato i lavori più salienti della sua carriera, nel partecipatissimo incontro alla Galleria dell'Architettura moderato dallo storico dell'architettura Francesco Dal Co, docente all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. “Quando si guardano i lavori di Benìtez, sembra di ammirare l'opera di un mago – ha spiegato il professor Dal Co –. La sua magia si basa sulla conoscenza approfondita dei materiali e sull'idea che le nostre convinzioni spesso sono solo prigioni per il nostro pensiero e la nostra creatività...”.
Il Gabinete de Arquitectura - composto anche da Gloria Cabral e Solanito Benítez - si è distinto alla Biennale di Venezia con una grande volta realizzata attraverso un innovativo sistema costruttivo in laterizio e cemento a bassissimo impatto tecnologico, e per aver messo insieme materiali primari, semplicità strutturale e lavoro non qualificato, al fine di portare la qualità dell'architettura a comunità che ne erano escluse. “Noi facciamo continuamente ricerca, e sperimentiamo, per fabbricare un mondo migliore – ha svelato Benìtez –. E' questa la nostra missione di esseri umani”

Ma alla lezione a Cersaie 2016 Solano Benítez, che per la sua architettura ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in trent'anni di carriera, ha scelto di raccontare i suoi lavori forse più cari, per primi il suo primo studio Gabinete, nella sua Asunciòn in Paraguay, e la casa della sua mamma, ideata in modo da potere ospitare anche le dimore di tutti i sei fratelli (e venticinque nipoti) dell'architetto. Opere caratterizzate dall' “assenza di paura, liberi dal pensiero di limiti od ostacoli – ha spiegato l'architetto –. E che abbiamo realizzato sempre con il sorriso sulle labbra, che contraddistingue noi paraguaiani”. Spazi e soluzioni a basso costo, come richiesto dal budget iniziale piuttosto scarso dei ragazzi del Gabinete, e sempre versatili ed efficienti, pronti ad adeguarsi a tutte le situazioni e a rispondere alle esigenze quotidiane, come il torrido clima paraguaiano.












“Bisogna pensare ai mattoni non come a un materiale, ma una materia, che offre continue nuove opportunità di sperimentare cose mai tentate prima, anche quando sembra impossibile: perché è solo questione di prospettiva”: un mantra che ha guidato il grande architetto in tutti i suoi lavori. Riconosciuti fin da subito da premi e riconoscimenti prestigiosi: tra gli altri, nel 2008, il BSI Swiss Architectural Award, premio internazionale per gli architetti con meno di cinquant'anni che abbiano realizzato un'opera significativa nel contesto architettonico contemporaneo. Nel 2011 è eletto ‘Arquitecto del Bicentenario’ dall'Associazione paraguaiana degli architetti e nel 2012 membro onorario dell'American Institute of Architects. Lo stile architettonico di Solano Benítez si distingue per la sua preferenza del “ladrillo”, il mattone, come principale elemento costruttivo, come è tipico nel suo Paese d'origine; ulteriore sintomo dello stretto legame dell'architetto con la propria terra natale è il suo costante ricorso alla manodopera locale. Da quest'ultima, in particolare, egli trae continui stimoli all'innovazione, vedendo nella mancanza di specializzazione nel settore di questa non un ostacolo, ma un'opportunità. Come nell'edificio costruito ad Asunciòn per Telethon, con la sua volta “alleggerita”, “la prova che il mattone è una struttura versatile, che può essere usata quasi come una colonna, e avvicinarsi più alla Tour Eiffel che alle Terme di Caracalla”, spiega Solano Benìtez.

E di uno dei suoi lavori più famosi, la tomba di Piribebuy per suo padre, costruita nel 2000 nel mezzo della sua amata foresta a 84 km da Asunciòn, dice: “Ho cercato di creare un luogo che aiutasse ad accettare il dolore, a sorriderci sopra. Il gioco di specchi è una metafora di quello tra la vita e la morte, come in un sogno. E dire che ci ho messo più di dieci anni per immaginare un semplice quadrato...”.

Durante la sua lezione Benìtez non ha dimenticato neppure il terremoto che il mese scorso ha colpito il Centro Italia: “Ora è compito degli architetti italiani utilizzare la loro abilità, la loro ingegnosità e il loro pensiero per restituire una casa, una vita, a chi ha perso tutto”, ha infatti sottolineato l'architetto.




29/09/2016

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Paolo Ruini
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